Pubblicato su politicadomani Num 86 - Dicembre 2008

L’intervista
L’influenza politica della Chiesa

Conversazione con Gianni Gennari, direttore responsabile del nostro inserto, “Politica Domani”, nonché teologo, scrittore e giornalista apprezzato sia come vaticanista della Rai che come curatore della rubrica “Lupus in pagina” su Avvenire. Tema della conversazione: nella difesa dei valori appartenenti alla propria tradizione, la Chiesa viene oggi accusata di scivolare da un esercizio di autorità ad un esercizio di potere. Il problema, che è insieme religioso e politico, va affrontato sia dalla parte dei cattolici impegnati in politica, sia dalla parte della Chiesa

A cura di Giulia Siviero e Maria Mezzina

Si accusa la Chiesa di voler intervenire in campi che non le competono, per esempio nella legislazione civile. Come risponde a queste accuse?
È scontato che su questioni che mettono in gioco le visioni fondamentali ideali, etiche, religiose, la parola deve spettare sempre e in primo luogo alla coscienza. Ciascuno dovrà fare i conti con la sua coscienza e con le istanze che in essa sono incluse, compresa quella del riferimento alla religione. Dal punto di vista morale, il pluralismo è un fatto e la Chiesa oggi, nota bene, oggi, riconosce che non tutti hanno le stesse visioni morali e che quelle allineate con le posizioni cattoliche sono solo alcune tra le altre. Si è, insomma, assistito ad una grande apertura della Chiesa che, pur non modificando la propria dottrina, ha preso atto che non sempre e non tutto nella legislazione civile può corrispondere alle norme morali che rispondono alla visione cattolica, e che il compito del legislatore non sempre può cercare il bene maggiore. In concreto, quando si fa una legge, ciascuno, legislatore del parlamento o legislatore d’occasione nel caso del referendum, ha certo il diritto di giudicare con la propria coscienza morale, però, mentre la morale è un dato di coscienza, la legge è un dato di diritto e vale per tutti. Perciò ciascun cittadino ha il dovere e il diritto di dire se una legge corrisponde o meno a quello che la sua coscienza dice e la legge diviene il risultato del giudizio di coscienza della maggioranza dei cittadini.
Se non esiste ingerenza politica, come spiegare allora i ripetuti interventi della Chiesa?
La Chiesa ha il diritto e il dovere di ricordare ai credenti che fanno riferimento a lei la sua dottrina, e non si tratta di ingerenza. Le decisioni della maggioranza non sempre corrisponderanno ai dettati della morale cristiana, ma non si può pensare che sempre e comunque dovranno affermare una visione contrapposta ad essa. Una laicità seria non sta nel sostenere sempre e comunque una legge che dice il contrario di ciò che la Chiesa afferma, cioè nel rifiutare la fede o nel confinarla nel privato. Questo sarebbe laicismo. Nei fatti, da noi, dietro a questa concezione sta il fatto che tanti che si professano laici sentono il peso della chiesa sulla opinione dei cittadini e perciò vorrebbero che essa tacesse. No. Su problemi in cui sono interessati temi di principio dottrinale e scelte etiche di fondo la libertà di coscienza vale per tutti, va assicurata la libertà di parola anche alla Chiesa come a tutti, e quella di coscienza a credenti e non credenti. Quando si tratta di fare una legge il discorso deve essere quello di una libera democrazia: si vota, e chi raggiunge il numero necessario vince.
Come conciliare, allora, legge e morale? 
Non sempre l’ideale religioso può trovare realizzazione anche per legge. Ma, appunto, spesso non è in gioco una scelta dottrinale, ma una scelta politico-giuridica precisa. È del 2003 un documento dell’ex Sant’Uffizio a firma di Joseph Ratzinger dove è sancito il principio che, in alcuni casi, può valere il male minore. Facciamo un esempio: nello Stato Pontificio c’erano le case chiuse, non perché la prostituzione legale fosse approvata, ma perché quello era ritenuta il male minore. Ciò è valso anche in Italia, fino alla legge Merlin del 1958… Ancora: al referendum sul divorzio anch’io ho votato in coscienza a favore della legge, proprio perché ritenevo un male minore la sua permanenza - era stata approvata dal parlamento nel 1970, con presidente del consiglio DC - rispetto all’abrogazione che avrebbe generato un caos. Anche sul tema dell’aborto, ben più delicato e drammatico. Dal 1978 era in vigore la legge 194, che non era una dichiarazione di principio circa il diritto all’aborto, ma fin dal titolo proclamava il dovere della prevenzione, e depenalizzava l’aborto allo scopo di controllarne le cause ed anche di aiutare le donne in difficoltà. Sono cose scritte, nero su bianco, in quella legge sulla quale avevano esercitato un loro ruolo positivo cattolici eletti nelle liste del PCI di allora, che con Enrico Berlinguer aveva dichiarato chiaramente la sua volontà di dialogo con i cattolici come tali e in linea di principio si era distaccato dall’ateismo e dall’antiteismo ideologico. La “lettera a Bettazzi” nelle intenzioni era una vera e grande realtà nuova. Per ragioni personali ne avevo seguito direttamente il nascere e il formularsi… Credo che fosse lecito ad una coscienza formata ed informata, pienamente cristiana e cattolica, ritenere le due leggi un male minore, rispetto allo sfasciamento senza regole delle famiglie e all’aborto clandestino, ambedue fenomeni indubitabilmente di massa…
Nondimeno la Chiesa è stata ed è intransigente, come ora nel caso di Eluana.
Allora la Chiesa, intesa come gerarchia e disciplina, fu intransigente anche con quei cattolici che affermavano il suo diritto e dovere di far sentire la sua forte voce di giudizio morale negativo sui due fenomeni, divorzio e aborto. Parlo per esperienza diretta: per un intervento ad un incontro dei laureati cattolici di Roma, a Sant’Ivo alla Sapienza, in cui dissi che lo sfacelo della famiglia non dipendeva dalla legge sul divorzio, e che quindi si poteva ritenere quella legge un male minore, ma che ci si doveva impegnare fino in fondo per preparare le coppie al matrimonio, e per difendere concretamente i diritti delle famiglie, fui sospeso dalla cattedra di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense.
È ovvio che, venendo ai temi di oggi, bioetica, testamento biologico ed eutanasia, mi pare folle che si teorizzi di fare una legge che sancisca la libertà assoluta del soggetto, e si pretenda che abbia l’approvazione della Chiesa. Del resto mi chiedo se sia davvero una emergenza seria. Ho assistito molti malati terminali, accompagnandoli alla morte naturale da vicino, e mai nessuno mi ha chiesto di morire, semmai di avere maggiore assistenza con cure antidolore, vicinanza amichevole e anche conforto religioso… Venendo al nodo: una legge sull’eutanasia è ben altra cosa rispetto al rifiuto dell’accanimento terapeutico, che è possibile e doveroso anche senza alcuna nuova legge. Pare dura, ma il punto centrale è questo: se io fossi il papà di Eluana Englaro e ritenessi, in coscienza, di potere e dovere staccare l’alimentazione e l’idratazione lo farei, anche andando incontro ad eventuali sanzioni di legge, e basta. Non capisco perché pretendere di farlo con una legge che non c’è e che non c’è perché la maggioranza dei cittadini e dei parlamentari non hanno ancora deciso così.
Qual’è allora il confine fra legge e morale? Esiste un ruolo politico della Chiesa?
Le leggi si fanno con le maggioranze numeriche. il punto fondamentale è quindi capire la differenza sostanziale tra la legge, che è uguale per tutti e all’elaborazione della quale tutti devono partecipare, e la morale delle coscienze, che di fatto è invece pluralista. La chiesa gerarchica, e anche i cittadini cristiani hanno sempre il diritto di dire quello che pensano, e di sostenerlo anche in fase legislativa nelle sedi competenti. Ha mai fatto una legge dello Stato, la Chiesa come tale? E allora? Tutto il discorso sul ruolo politico della Chiesa mi pare francamente un teatrino e un’operetta: si continua a fare confusione tra legge e morale, pretendendo che la Chiesa sia sempre e comunque d’accordo. E se non è d’accordo si pretende che taccia, e se non tace si grida all’interferenza, e i cattolici o altri che concordano con essa vengono detti intolleranti, oscurantisti, medievali, clericali…Se non fossero cose troppo serie ci sarebbe solo da ridere per i ritardi culturali e politici. Finché la nostra sinistra non comprenderà questo sarà sempre indietro, e mai avrà il consenso della maggioranza… È la sostanza del “caso italiano”. Se si dà più voce alle idee dei radicali che a quelle dei cattolici liberamente laici, nel senso suddetto, è solo matematica: e i la numeri confermano da 50 anni e passa.

[Intervista pubblicata anche su “Italia Domani”]

 

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